COCOMERO CITY - Radmila Gordic

COCOMERO CITY

BOTTONE
25 Marzo 2021
9×9
26 Marzo 2021

Sceneggiatura del design del progetto COCOMERO CITY

Lontano dalle mura della città “nera” dell’antica capitale dell’Azerbaijan da dove, per la prima volta nella storia, è stato estratto il petrolio sotto il livello del mare, e non troppo distante dalla città “bianca”, costruita dai fratelli Nobel per gli estrattori dell’oro nero, sorge il Parco nazionale di Zirya, un gioiello della natura, conosciuto in tutta l’ex Unione Sovietica per la produzione di piccoli cocomeri e cetrioli nani. Non è semplice arrivarci. Per trovare Zirya bisogna conoscere la strada che, come una lunga lama, taglia la steppa in due. I filari degli ulivi lungo la statale povera di segnaletica non riescono a mascherare le giganti serre che spuntano come cattedrali nel deserto; gli alberi sono curvi e piegati dal vento come gli abitanti della steppa che per vivere continuano a coltivare i cetrioli. Prima di affrontare l’ultimo tratto del viaggio che conduce alla riserva naturale è necessario fare rifornimento di acqua per tutta la giornata di lavoro, così ci è stato consigliato alla nostra partenza da Baku. Le poche botteghe e le case basse del villaggio di Zirya hanno i tetti in lamiera e sono costruite di mattoni di pietra con fossili a vista. Alle estremità della lingua di terra sabbiosa che inizia appena fuori dal paese, il vento esibisce tutto ciò che raccoglie nella steppa: sassi, sacchetti, pietre, rami grossi, alberi interi strappati dal suolo. Poi la steppa si esaurisce, la strada si interrompe e la macchina si ferma sul dorso di una collinetta rocciosa. Ti senti a pezzi, sei coperto di polvere, hai il corpo indolenzito e non vedi l’ora di sentire la terra sotto i piedi. Fai pochi passi per raggiungere la cima in fondo alla salita, ma varrebbe la pena di farne mille, di passi, perché lo scenario che si apre sulla baia è di una bellezza sovrannaturale. La mente assorbe il cambiamento di scenario e le gambe si mettono a correre in direzione della spiaggia a forma di falce con due bordi lunghi come le corna di un bufalo. L’acqua del mare è calma e trasparente, ondeggia in modo quasi impercettibile. Sulla spiaggia un gabbiano accoglie la barca di pescatori che sta per attraccare. Il vento si è fermato per lasciare spazio alle conchiglie che sussurrano un benvenuto frusciando sotto i piedi scalzi. Abbiamo preso contatto con il luogo, ora possiamo metterci al lavoro. Dopo aver studiato la rosa dei venti ed eseguito i rilievi del terreno Luisa Bocchietto, architetto e designer, prende in mano la penna. Come barriera perché il vento non possa turbare la calma di quest’oasi, disegna un muro di mattoni di pietra con fossili a vista. Sulla carta prendono forma le casette colorate con i giardinetti sulla sabbia, il molo per le barche, l’essiccatoio per il pesce, le docce, la sauna, il campo da beach-volley, una piazzetta con le botteghe che venderanno i prodotti locali, i piccoli bar che serviranno bevande rinfrescanti, i punti di ristoro in legno, mascherati in mezzo alla macchia, i sentieri per la corsa, il centro sportivo coperto per la stagione invernale. Giorno dopo giorno sotto la matita di Luisa i tronchi degli alberi portati dal mare sulla spiaggia si trasformano in sgabelli, tavolini, divani, ombrelloni, sedie a sdraio. Così nasce COCOMERO CITY, il primo progetto di bio-architettura in Azerbaijan, sulla penisola di Absheron, nel Parco nazionale di Zirya. Il team di ingegneri arricchisce il progetto con impianti per la desalinizzazione dell’acqua del Mar Caspio. Io osservo, leggo, studio l’architettura e la storia locale, vado a conoscere i pescatori, prendo appunti.

Luisa Bocchietto è architetto e designer, si è laureata nel 1985 in Disegno Industriale presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Milano e contemporaneamente si è diplomata presso lo IED in architettura di interni. Da allora lavora con il proprio studio a Biella e Milano. Collabora come visiting professor con università e scuole di design.
È autrice di testi di architettura e design e ha partecipato come relatrice a conferenze in Italia e all'estero. I suoi progetti sono stati pubblicati da numerose riviste del settore.
Nel 2008 ha ideato con Anty Pansera la Mostra “D come Design” per la valorizzazione del design femminile (Torino, Orta, Alessandria d’Egitto) e ha curato il volume e la mostra “POP Design” al Filatoio di Caraglio (Cuneo).
È stata Presidente dell’Ordine degli Architetti di Biella. Dal 2003 al 2008 è stata Presidente dell’ADI - Delegazione Occidentale Piemonte e Valle D’Aosta e ha fatto parte del Comitato Promotore di Torino World Design Capital. Dal 2008 al 2014 è stata Presidente Nazionale di ADI - Associazione per il Disegno Industriale. È stata membro del Consiglio Italiano del Design presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Attualmente è consigliere nel Board di ICSID (International Council of Societies of Industrial Design).
Dal 2015 al 2017 è stata Presidente del WDO (World Design Organization).

Sceneggiatura del progetto COCOMERO CITY - II parte

La stanza con tre finestre

Accesa per miracolo, la sigaretta del pescatore si è consumata velocemente. Il suo sguardo invece resta acceso. Il vento soffia forte e porta via le parole. Anche se Natan parla poco. E se lo fa, rispetta i suoni del luogo. Senza presunzione, voltando la schiena, mi invita sulla barca e mi fa vedere le trote del Caspio appena pescate.
Natan non pensa al colore. Vive in mezzo alla steppa. Con Olga, nella casa di tre stanze, costruita sulla punta della stretta lingua di terra brulla che taglia il mare, in mezzo a tutto e al nulla.
“Ti faccio vedere la mia architettura. A Baku, gli architetti fanno tanti edifici. Tanti soldi, tanta aria. Si dimenticano però che per muovere l’aria basta una foglia” dice Natan, e dal mare si incammina verso un muro in pietra gialla, l’unica testimonianza dell' impronta umana. La sabbia è dorata e ricca di conchiglie, come la pietra lo è di fossili. Le conchiglie scricchiolano sotto i piedi ma il vento è veloce e porta via le loro grida nell’infinito del mare aperto, che ci lasciamo alle spalle.
“Voglio vivere una vita lunga...” dice Natan, prima di aprire la porta ed entrare in casa.
La prima stanza è contemporaneamente ingresso, sala da pranzo, cucina e salotto per Olga e Natan. E dopo la prima ce ne sono altre due, la camera da letto e il bagno. La prima stanza ha tre finestre, le altre due sono cieche, senza finestre né riscaldamento.
“...per avere il tempo di restituire la felicità a questo luogo che mi ha ospitato” conclude Natan e si siede di fronte alla finestra che guarda il mare.
Olga appoggia il samovar bollente e la piccola teiera con il tè appena messo in infusione al centro del tavolo. Poi si siede con la schiena girata al mare e guarda la steppa brulla e infinita, attraverso la finestra di fronte a sé. Forse perché le fa pensare alle steppe delle sue origini. «Olga sembra una visione. Forse è arrivata qui portata dal vento» penso, guardando i suoi tratti tatari e gli occhi azzurri. Beve un bicchierino di tè con noi e sorridendo si alza, diretta alla stufa che Natan ha costruito con le vecchie lamiere nell’unico angolo cieco della stanza con le tre finestre. La stufa va a gas. Si cucina e ci si scalda così. Sopra la stufa un bollitore smaltato fischia come il vento della steppa. “La camera da letto e il bagno non hanno finestre. Per il freddo” dice Olga e aggiunge dell’acqua nel bollitore per zittirlo.
«Natan non conosce il mondo degli oggetti colorati» penso, seduta su un consumato divanetto sovietico di fronte alla terza finestra, a guardare la strada deserta. Ed è da lì che arriva il vento che spazza via tutto. Anche le parole. Ma Natan comunica con lo sguardo. Come Olga con il sorriso.
Natan esce, lo vedo sparire dietro la casa. Torna poco dopo con le trote del Caspio. Dopo il tè usciamo all’aperto. Con i mattoni di pietra, con i fossili a vista, costruisce due colonne, alte poco meno di un metro, sulle quali appoggia la griglia nera e vi appende i pesci. Poi accende il fuoco e alza da terra un grande bidone della benzina arrugginito, forato sui lati per farvi passare il vento, lo capovolge e lo pone in equilibrio sopra la griglia.
“È il nostro modo per affumicare” spiega.
Mi regala cinque pesci, sorride e mi augura buon viaggio.
Impossibile non assaggiare il pesce affumicato del Caspio. Impossibile dimenticare Natan, l’architetto e designer di Baku.

Data:

2015

Autori:

Arch. Luisa Bocchietto
Arch. Daniele Aiazzone
Arch. Dario Cavalià
Arch. Nicola Roberto
Arch. Tomas Meghi

Sceneggiatrice:

Radmila Gordic