SUMMER CAFFETERIA - Radmila Gordic

SUMMER CAFFETERIA

Light Story
17 Marzo 2021
NAAR – ORIENT EST ROUGE
21 Marzo 2021

Sceneggiatura della SUMMER CAFFETTERIA

A causa dell’embargo alla Russia legato alla questione ucraina, nel 2015 la crisi economica è arrivata in Azerbaijan. Tra il febbraio e il mese di dicembre del 2015 si è assistito a una doppia svalutazione del manat, la moneta locale. Nella città regnava calma piatta, non si muoveva nemmeno una gru; gli stranieri, gli italiani in primis, avevano fatto le valigie e noi, che vivevamo di progettazione e avevamo investito più di dieci anni per costruire un portfolio clienti e la nostra reputazione, eravamo preoccupati e senza lavoro.
Ho deciso di restare sul posto per un paio di mesi per cercare di vedere se si sbloccava qualcosa, ma succedeva poco niente. A fine inverno 2015 - 2016 mi è stato proposto di occuparmi del restyling di un vecchio ristorante nella parte alta della città, sopra la baia, dove sorgono le ambasciate, le scuole britanniche e gli alberghi “Turkish style”. Tra la città antica e la città alta c’era un quartiere meraviglioso che si chiamava “Sovietskaya” che nell’estate del 2016 stavano radendo al suolo. Correva voce che il terreno fosse stato preso in affitto per i prossimi decenni dagli arabi, che al posto della Sovietskaya avrebbero costruito un quartiere nuovo e ricco di parchi. In mezzo alle macerie e alle case sventrate, i bambini ancora correvano, le donne cucinavano e stendevano i panni lavati, i vecchi giocavano a scacchi. E sopravviveva qualche bettola dove per pochi manat si potevano mangiare carne alla brace e verdure deliziose. Scappavo lì con Zakir, il mio angelo custode, il braccio destro, l’uomo tutto fare, che conosceva la città come le sue tasche, sveglio, onesto, gentile, disponibile. Ogni mattina mi portava in giro per bazar deprimenti a cercare i materiali di finitura, i sanitari, i mobili, le luci, i tessuti. Ci rifugiavamo nelle bettole di Sovietskaya per sfuggire alla polvere del cantiere della “Summer Caffeteria” e dimenticare la trappola in cui ero finita: per più di vent’anni ho cercato di difendere la qualità del progetto e l’eccellenza del made in Italy, e ora mi trovavo a stampare disegni per la posa dei marmi e a consegnarli nelle mani di chi che non era in grado di leggerli: il fornitore del marmo aveva portato in cantiere posatori di marmi afgani, una famiglia di sei persone, il capo famiglia over sessanta e cinque figli maschi. Lavoravano scalzi, senza nessuna protezione, sotto il sole cocente, gentili, bravi. Non so quanto venissero pagati dal fornitore, non potevo nemmeno chiederglielo perché comunicavamo a gesti, senza poter parlare, io non conoscevo la loro lingua e loro nessuna delle lingue in cui comunicavo io. So solo che hanno fatto un bellissimo lavoro, che alla fine abbiamo celebrato con loro e Zakir gustando uno spiedo di agnello nella bettola di Sovietskaya.
Il fornitore di mobili era un certo Master Babek, talish, originario del sud del paese, ai confini con l’Iran. Sorrideva sempre, non aveva bisogno di un disegno costruttivo per realizzare un mobile o una grande vetrata. Lavorava nella vecchia fabbrica di tram, vicino alle carceri di Baku, abbandonata dai sovietici da venticinque anni. Nella sua officina lavoravano solo donne, che dalla mattina alla sera sbrigavano tutto quello che c’era da fare, aspirando tonnellate di polvere ogni giorno: sverniciavano, stuccavano, assemblavano, riverniciavano. Stava per venirmi un esaurimento nervoso. Un giorno da Tbilisi mi ha chiamato Nino e, dopo aver sentito la mia voce, è salita sul primo treno notturno per Baku. Mi ha aiutato a trasformare il vecchio recinto ridotto a una staccionata in un ingresso dignitoso nel nuovo ristorante-caffetteria, ha decorato i muri dipingendo alberi in fiore e gli animali dei boschi del Caucaso, la grotta in pietra (che faceva parte integrante della parte chiusa del ristorante) con alberi di melograno colmi di frutti, ha preparato targhette in legno per ogni angolo del giardino-ristorante. Dal quartiere Sovietskaya avevo recuperato alcune vecchie finestre che ho trasformato in lampade per illuminare le terrazze della “Summer Cafeteria”, con Master Babek avevamo costruito i tavoli e le sedie, sverniciato vecchie credenze trovate nelle discariche e trasformate in mobili colorati per tutto il ristorante. Alla fine lavoravamo dall’alba al tramonto, come se stessimo arredando casa nostra. Per l’agitazione Zakir aveva perso sette chili, io fumavo e bevevo acqua a canna, Nino si grattava nervosamente. Ma nessuno voleva mollare. A fine estate la Summer Cafeteria di circa 600 mq, di cui 100 mq circa di interni, era pronta.

Data:

2016

Autori:

Designer Radmila Gordic
Disegni Nino Peradze
Arch. Vakhtang Celidze