A casa dei miei genitori c’era l’amore per la gente e un vero culto per le storie. Il vecchio cancello arrugginito del giardino non si chiudeva mai e il suo rumore annunciava l’arrivo di qualcuno. Sotto il melo, un grande tavolo con delle panche dava il benvenuto agli ospiti. Mio padre riempiva il secchio del pozzo di acqua fresca, mia madre metteva in tavola qualcosa da mangiare e le parole incominciavano a scorrere come un fiume in piena. Si condividevano il cibo e le storie. Io assorbivo tutto, nascosta dietro le tende della grande finestra della cucina che rimaneva nella penombra, parzialmente coperta dal melo. Poi sono cresciuta, ma la passione per le storie mi è rimasta attaccata. Correva l’estate del 2000, da tre anni ero la responsabile dell’ufficio di rappresentanza di uno studio italiano di architettura e design nella Mosca di El’cin quando ho deciso di provare a superare il concorso all’Accademia di cinema. Non ci speravo molto perché per superare gli esami scritti bisognava anche scrivere un soggetto, un racconto e una bozza di sceneggiatura. I posti disponibili erano pochi e i partecipanti del concorso erano moltissimi. Ma ci ho creduto, e dopo quattro anni festeggiavo la fine degli studi con un film girato in Serbia. Ero diventata sceneggiatrice e regista.